Route 66. L’inizio della fine.

Pubblicato: gennaio 7, 2018 in Route 66

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Tutte le storie, anche le più belle, sono destinate a finire.

E’ nella natura delle cose.

E spesso, l’inizio della fine, coincide con il periodo migliore, quando sembra che nulla e nessuno potrà mai interrompere un bellissimo sogno.

Ed è quello che è successo alla US Highway 66.

Nel suo periodo di massimo splendore si stava in realtà preparando il terreno per la sua fine.

Senza sconti, con freddezza e distacco, i burocrati di Washington, con a capo il presidente Eisenhower, l’Ike della seconda guerra mondiale, stavano per scrivere la fine, appunto, di un sogno.

Il generale, diventato presidente degli Stati Uniti d’America, nel 1956 promulgò le regole per un nuovo modello di viabilità nazionale.

Durante la seconda guerra mondiale, Ike si era innamorato delle Autobahn, le autostrade tedesche, uno straordinario esempio di viabilità utile anche come strumento di difesa nei casi di emergenza nazionale.

Il paragone con le tortuose highways americane era impietoso.

Con l’approvazione del “Federal-Aid Highway Act”, così fu chiamato il piano di realizzazione delle nuove strade interstatali, l’inizio della fine della US Highway 66 fu scritto.

Non fu una morte rapida, ma una lenta, dolorosa agonia durata circa 30 anni.

Anni durante i quali pezzi di nuove interstates venivano inaugurati ed altrettanti tratti della vecchia highway venivano abbandonati al loro destino, cancellati definitivamente dalle cartine stradali.

Intere comunità venivano bypassate e lasciate agonizzanti, pezzi di storia venivano cancellati nel nome del progresso.

La gente, il popolo della Route 66, era al corrente dell’intenzione del governo americano di rendere più moderna la viabilità del paese, ma non poteva immaginare l’impatto che questa iniziativa avrebbe avuto sulla loro vita.

Fu come l’impatto di un meteorite.

Molte comunità si opposero, cercarono di ostacolare la realizzazione del progetto, chiesero al governo di essere attraversate dalle nuove autostrade, così come faceva la 66, o di prevedere almeno un’uscita che permettesse ai viaggiatori di usufruire dei vecchi servizi garantendo loro, al popolo della Route 66, una dignitosa sopravvivenza.

Iniziative, queste, del tutto infruttuose.

Era come se un enorme incendio avesse lentamente cominciato a divorare km di strada, rendendo, nel contempo, l’ambiente circostante inospitale.

La strada non era più la destinazione di un viaggio, ma un mero tramite per trasportare più velocemente i viaggiatori da un punto ad un altro del paese.

Ad aggravare ancora di più una situazione di per se già critica, arrivò, nella metà degli anni 60, l’Highway Beautification Act.

Le più piaghe più terribili hanno sempre dei nomi accattivanti.

Su sollecitazione della moglie, il presidente Lyndon Johnson prese un’iniziativa volta, a suo dire, all’abbellimento delle strade americane attraverso la limitazione e la regolamentazione dei cartelli pubblicitari lungo le highways.

Era la definitiva condanna a morte.

Le attività lungo la vecchia highway vivevano di pubblicità, era lo strumento principe per la loro stessa sopravvivenza.

Pubblicità stravaganti, esagerate nei toni e nelle forme, ma essenziali per solleticare la fantasia del viaggiatore e convincerlo a fermarsi per usufruire dei servizi reclamizzati.
Pubblicità che hanno scritto la storia della vecchia highway ma che ora erano considerate deturpanti per il paesaggio.

Il governo americano, che con il “Federal-Aid Highway Act” aveva cancellato la Route 66, con questa nuova legge aveva accelerato la chiusura di quelle poche attività che ancora operavano lungo la vecchia highway.

28 anni dopo la firma del nuovo piano di strade interstatali, l’ultimo tratto di Route 66 fu ufficialmente sostituito; nell’ottobre del 1984 la Interstate 40 prese il posto del tratto di Route 66 nei pressi di Williams in Arizona.

L’anno successivo, dopo 59 anni dalla sua nascita, la US Highway 66 veniva definitivamente eliminata dalle mappe stradali americane e con essa intere comunità.

“E’ tutto nel nome del progresso” dichiarava alla stampa il commissario dei trasporti del New Jersery, in occasione di un meeting durante il quale si decise la definitiva rimozione dei cartelli indicanti la denominazione US 66 lungo tutto il percorso della gloriosa highway.
Un progresso feroce che non solo ha ignorato l’importanza storica della Route 66, ma che soprattutto non ha avuto a cuore il destino dei molti americani che vivevano della Strada.

Non tutti tuttavia si arresero, alcuni restarono lungo la vecchia autostrada lottando per il riconoscimento del diritto ad esistere.

Lillian Redman, Lucille Hamons, Angel Delgadillo sono tra i simboli di questa resistenza ed è grazie al loro impegno che ancora oggi possiamo realizzare il sogno di percorrere la Route 66 in una sorta di viaggio nel tempo.

Altri ancora hanno seguito il loro esempio raccogliendone l’eredità, proseguendo nella conduzione di attività storiche, continuando, tra mille difficoltà, a distribuire sogni.

Sogni di un tempo lontano, un tempo nel quale la vita era più semplice, lenta e colorata.

Un tempo che chi, come me, non lo ha conosciuto, ama farselo raccontare da chi c’era.

Sogni splendidi, regalati da gente meravigliosa e da una striscia d’asfalto che si perde all’orizzonte.

commenti
  1. Bebo girelli ha detto:

    Grazie mille franco delle preziose e interessanti info sulle route 66
    Bebo girelli
    girelliroberto@hotmail.com sciclubveronesi@libero.it

    Piace a 1 persona

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